L’ Italia è in grado di produrre menti brillanti seppur spesso confinate in un ambiente produttivo e di ricerca inefficiente, non adeguato, lungi dall’essere moderno e competitivo, e proprio quattro italiani, armati di ingegno e fondi internazionali, hanno creato Okairos, una compagnia biofarmaceutica recentemente acquisita da GSK (Glaxo Smith Kline) che si è posta come obiettivo l’innovazione nell’ambito di vaccinazioni, malattie infettive e tumori. La cosa a lungo andare ha dato i suoi frutti ed è proprio di questi giorni la notizia che sarebbe stato da loro sviluppato un vaccino contro il virus Ebola (EBOV) che ha ottenuto dalla FDA (Food and Drug Administration) l’approvazione per la sperimentazione umana in tempi straordinariamente brevi.
Tempi straordinari come straordinari si sono rivelati i risultati preliminari della sperimentazione pre-clinica del vaccino e le contingenze che vedono l’epidemia africana di quest’anno non solo non arrestarsi, ma anzi espandersi. Entrambe le cose hanno portato ad un accorciarsi dei tempi complessivi normalmente necessari a procedure di questo tipo.
Ovviamente non è il primo tentativo di produrre un vaccino contro Ebola, ma fino ad ora i vaccini tradizionali non sono riusciti ad indurre una risposta adeguata nei primati che, è meglio ricordarlo, sono comunemente infettati ed uccisi da Ebola esattamente come gli esseri umani.
Cosa ha la tecnologia di Okairos in più? Perché questa piattaforma per la produzione di vaccini sembra essere riuscita a battere le altre, almeno in queste fasi iniziali? Semplice: se il nemico è più forte del normale, allora bisogna tirar fuori l’artiglieria pesante.
Come sappiamo, il nostro sistema immunitario è dotato di un fedele esercito di cellule soldato ognuna delle quali specializzata nell’utilizzo di un’arma specifica. Sostanzialmente i “corpi speciali” che entrano in campo durante un’infezione sono Linfociti B e Linfociti T.
I primi, quando attivati, producono anticorpi neutralizzanti in grado di circolare, riconoscere gli antigeni di un patogeno e, appunto, neutralizzarlo. I linfociti T sono suddivisi in vari sottotipi, tra questi ricordiamo gli “helper” (o CD4+) , che aiutano la risposta immunitaria producendo sostanze particolari chiamate citochine, e i “citotossici” (CD8+), i reparti d’assalto che prendono di petto il nemico ed uccidono in modo diretto le cellule infettate.
Al termine di un’infezione, quando la risposta immunitaria va scemando, l’eccesso di linfociti va in contro a cosiddetta “morte programmata”, ma qualcuno di loro sopravvive e va a costituire il gruppo di veterani di guerra noto come pool di cellule della memoria. Quando la minaccia si ripresenterà, queste cellule sopravvissute si replicheranno rapidamente e saranno in grado di fornire una risposta immunitaria più efficace e tempestiva.
Ricapitolando, quindi, i Linfociti B sono in grado di neutralizzare patogeni liberi, circolanti, mentre i Linfociti T citotossici uccidono selettivamente cellule che contengono un patogeno all’interno e questo fa la differenza. Un virus, infatti, è un cavallo di Troia. Esso è in grado di entrare nelle cellule “per la porta principale” in quanto ha bisogno di loro per sopravvivere e replicarsi. E’ chiaro che, una volta infettata, la cellula in qualche modo è in grado di capire che c’è un ospite inatteso ed espone sulle mura dei segnali che siano ben visibili dalle altre cellule attraverso il meccanismo di presentazione dell’antigene: alcune proteine prodotte dal genoma virale nella cellula vengono digerite, spezzettate e presentate da apposite molecole sulla parete della cellula. Una volta “inviata la richiesta d’aiuto”, i linfociti T citotossici provvederanno a riconoscere la cellula infettata e sopprimerla e con essa l’ospite indesiderato.
Da questa breve e approssimativa lezione di immunologia, abbiamo potuto imparare che le cellule che meglio combattono le infezioni da virus sono i Linfociti T citotossici, ma i vaccini classici stimolano normalmente la produzione di anticorpi neutralizzanti e quindi l’azione dei Linfociti B.
Ecco svelato l’arcano: il potenziale vaccino prodotto da Okairos sfrutta l’infezione da parte di un “virus buono” per stimolare la risposta dei linfociti T citotossici, quindi l’azione del corpo diretta contro l’infezione virale, e creare un pool di linfociti T della memoria. Abbiamo spiegato cosa fa il vaccino, non abbiamo ancora spiegato come, ma per iniziare possiamo riassumere il tutto in una massima: s
e vuoi battere un virus, pensa come un virus. Infatti, a partire da un
Adenovirus di scimmia, i ricercatori hanno prodotto un virus modificato perfettamente in grado di infettare le cellule, ma privo della parte dannosa e della capacità di replicarsi e l’hanno dotato di un equipaggiamento extra: un frammento di DNA codificante per una proteina della membrana di Ebola comune a tutti i ceppi adesso conosciuti. Il virus così assemblato una volta infettate le cellule dell’ospite, nel caso specifico il paziente da immunizzare, non solo produrrà le proprie proteine, ma anche quella di Ebola che potrà essere così riconosciuta dai linfociti T citotossici i quali verranno così “addestrati” per una pronta risposta in caso di una successiva e reale infezione da parte del virus. Vaccini prodotti con questo approccio vengono definiti “genetici” e costituiscono l’avanguardia nel campo. Piattaforme tecnologiche come quella che ho tentato di spiegare iniziano a dare promettenti risultati anche nell’ambito della lotta ai tumori, offrendo la possibilità di “vaccinare” a scopo terapeutico contro specifiche neoplasie.
Ovviamente siamo ancora all’inizio, i risultati sono promettenti e l’accelerazione che l’epidemia in atto in Africa Nord-Occidentale ha impresso all’intera ricerca in questo campo potrebbe far raccogliere i frutti in tempi brevi. Tuttavia non si può ancora cantare vittoria: quel che accade negli animali è probabile, ma non certo che si verifichi nell’uomo e la medicina non si basa sul dubbio, ma sulle certezze. Allo stato attuale si sa che la sperimentazione è aperta ai volontari sani e che tutte le dosi di vaccino saranno prodotte in Italia, nell’istituto
IRBM di Pomezia. Questa è la struttura che, infatti, si è finora occupata della produzione del vaccino anche per la sperimentazione non umana. Le dosi saranno poi spedite negli Stati Uniti dove sono stati raccolti anche i dati pre-clinici in quanto in Europa non è ancora possibile usare Ebola attivo nelle sperimentazioni.
Oltre al vaccino pensato dagli Italiani, è o sarà presto in sperimentazione sull’uomo un vaccino basato su un principio simile prodotto da un gruppo di ricerca Canadese. Non è una gara, perciò che vincano entrambi e che ci forniscano i mezzi per superare anche questa battaglia.
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Chissà se questa semplice spiegazione illuminerà le menti di alcuni grillini colpite dal virus dell’ignoranza. 🙂
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“@mentecritica: Ebola e vaccinazione: battere un virus con un altro virus. http://t.co/SFuc9tvC2S” bello, scientifico e ben scritto!
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@Mumon89 @mentecritica chiodino scaccia chiodo !!!!
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se vuoi battere un virus, pensa come un virus (da estendere come regola generale)
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Sarò ripetitivo, ma: la Scienza qualcosa di una bellezza quasi commovente.
“la sperimentazione è aperta ai volontari sani” … 😉
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a) Ma siamo sicuri che non sia dannoso? In fin dei conti di OGM si tratta.
b) C’è nessuno che stia provando ad accrocchiare qualcosa di simile per il corpo sociale? Qualcosa di innocuo, tipo Letta, con un frammento di DNA codificante per una proteina della membrana di Berlusconi + Grillo + Renzi?
Ahahhaha. a) la sperimentazione serve per quello.
b) penso che il problema sia la dimensione dei virus da manipolare: decisamente grossi.
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ottimo!